Le responsabilità del medico Stampa E-mail

Numerosi sono gli associati che si rivolgono all'Unione Nazionale Consumatori per avere chiarimenti in ordine a vertenze coinvolgenti medici, dentisti, chirurghi estetici, ospedali, cliniche privati e centri specialistici. Risulta, infatti, che paradossalmente proprio in un settore così delicato l'informazione del consumatore (inteso come utente di servizi sanitari, pubblici o privati) sia ancora troppe volte insufficiente e tale da lasciare il paziente ed i suoi familiari privi di adeguate notizie e, quindi, di effettiva tutela. Cerchiamo dunque di illustrare brevemente quali siano le reali possibilità a difesa del consumatore che ritenga di essere stato coinvolto in una vicenda di "malasanità". In primo luogo è bene precisare che anche qualora l'intervento di un medico non ottenga, malauguratamente, il risultato sperato, non sempre è possibile imputare al sanitario o alla struttura ospedaliera il fallimento delle proprie aspettative. Per tale ragione è bene valutare accuratamente la sussistenza dei presupposti di eventuali responsabilità professionali, raccogliendo tutta la documentazione disponibile, conservando certificazioni, prescrizioni, richiedendo l'eventuale cartella clinica da sottoporre alla attenzione di un medico di fiducia o del proprio legale affinché la esamini per stabilire se effettivamente si è verificata una lesione al "bene" salute. È consigliabile far redigere una relazione, che potrà eventualmente essere utilizzata in un futuro processo come "consulenza di parte" a sostegno di richieste risarcitorie. Vediamo quali situazioni legittimano il consumatore ad una azione di responsabilità. La colpa medica - La regola è chiara: chiunque per imperizia, imprudenza, negligenza ovvero per inosservanza di norme nello svolgimento della professione medica cagiona ad altri lesioni, danni fisici o la morte soggiace in sede penale a sanzioni restrittive della libertà personale, in sede civile ad obblighi risarcitori ed in sede deontologica a sanzioni disciplinari. Per poter affermare la “colpa medica”, però, occorre dimostrare alcune cose:

  • il danno (cioè la lesione in atto dopo l’intervento del professionista) nonché la sua natura e la sua gravità, poiché anche da queste ultime dipende l’entità del risarcimento;
  • il nesso di causalità fra tale danno e la condotta del sanitario, cioè la prova – sulla base di leggi di probabilità scientifica e di logica – che proprio tale comportamento abbia materialmente causato il danno (per questo è consigliabile farsi assistere da un consulente medico di parte, che conosce le regole del mestiere);
  • la colpa professionale: una volta che il danneggiato abbia dimostrato il danno e il suo nesso causale con la condotta del professionista, si passa alla valutazione dell’elemento soggettivo che ha sorretto l’agire del medico (cioè della colpa professionale, che consiste in imperizia, imprudenza, negligenza o inosservanza leggi, regolamenti, ordini o discipline.

In caso di azione per responsabilità contrattuale (che secondo la giurisprudenza è esperibile perché quello fra paziente e medico/struttura è un vero e proprio contratto) la prova della mancanza della colpa incombe sul professionista, che dovrà dimostrare, ad esempio, l’imprevedibilità ed inevitabilità dell’evento dannoso, la difficoltà e la natura sperimentale dell’intervento (in questi casi si risponde solo per colpa grave) o il corretto adempimento dell’onere di informazione del paziente, che abbia fornito un consenso esplicito. In caso di azione per responsabilità extracontrattuale, invece, la prova della colpa incombe sul danneggiato, che dovrà dunque dimostrare tutti e tre gli elementi dell’illecito: il danno, la colpa ed il nesso causale. Si noti che l’azione contrattuale e quella extracontrattuale sono cumulabili, seppure con i diversi regimi probatori indicati, per i differenti titoli di responsabilità, che derivano, rispettivamente, dall’inadempimento alla esatta prestazione professionale dedotta nel contratto e dalla violazione del generale principio del “neminem laedere”, che porta alla lesione del bene salute del paziente. Gli strumenti della tutela - Una volta valutata la documentazione in proprio possesso, nel caso in cui sia emerso un danno ricollegabile all’intervento medico, si aprirà la via del risarcimento. Si consideri che, normalmente, sia i medici che le varie strutture ospitanti sono coperti da polizze di assicurazione per tutti i danni causati a terzi nell’esercizio della professione; quindi, se ci si accorda sulla sussistenza della colpa medica, ma soprattutto sull’entità del risarcimento, si ottiene soddisfazione in tempi piuttosto brevi. Dal punto di vista penale, entro 3 mesi dal fatto ritenuto lesivo a causa dell’errore professionale (o comunque da quando si è avuta conoscenza di tale fatto lesivo, per esempio in virtù di una visita o consulenza presso un diverso medico), è possibile presentare querela per lesioni colpose dovute a colpa professionale medica ovvero, nel caso in cui le conseguenze dell'intervento si siano rivelate letali, per omicidio colposo. L'azione penale comunque - è bene ricordarlo- non è indispensabile per ottenere il risarcimento, in quanto il relativo processo tende principalmente all'accertamento della penale responsabilità del sanitario, anche se poi è possibile richiedere il risarcimento del danno costituendosi parte civile. In ogni caso, a prescindere da qualsivoglia querela, processo o condanna penale, colui che lamenta di aver subito un danno a seguito del comportamento doloso o colposo del medico, potrà azionarsi in sede civile, citando il professionista, e la struttura nella quale costui ha operato, per ottenere il risarcimento del danno subito. L’onere della prova - Quale che sia la via scelta ai fini del risarcimento, come già accennato il danneggiato avrà l'onere di provare il danno e la sua riconducibilità (cioè il nesso causale) all'agire del professionista, mentre spetterà a quest’ultimo la prova liberatoria di aver agito secondo le norme del caso, con diligenza, prudenza e perizia, vale a dire, in altre parole, di aver esattamente adempiuto l’obbligazione contrattuale a suo carico. È quindi necessario un breve cenno alle regole che disciplinano la responsabilità del sanitario nel rapporto medico-paziente, inquadrabile nel cosiddetto "contratto d’opera professionale". Si badi che, secondo i nostri giudici, queste regole si applicano anche al rapporto struttura ospedaliera-paziente e che il ricovero presso un determinato centro integra un vero e proprio contratto di prestazione d’opera professionale medica. Secondo gli orientamenti della giurisprudenza italiana, le prestazioni mediche sono obbligazioni "di mezzi" e non "di risultato", il che significa che il sanitario, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera e le proprie capacità tecniche al fine di raggiungere il risultato sperato, ma non si impegna a conseguirlo; da ciò deriva che se il professionista dimostra di aver eseguito l'incarico con la diligenza specifica richiesta dalla particolare natura della attività professionale che esercita (cioè la diligenza di un professionista medico di media preparazione ed esperienza, dinanzi al medesimo caso) non sarà in linea di massima considerato responsabile dell’infelice esito del suo intervento. È importante precisare che tale regola non vale per gli interventi di chirurgia estetica, compresi quelli per protesi odontoiatriche: il paziente, generalmente, vi si sottopone esclusivamente allo scopo di ottenere un effettivo miglioramento estetico e/o funzionale, di solito concordato con il professionista. Ne consegue che laddove tale risultato non si ottenga, sarà più agevole configurare l’inadempimento del medico. Alcune volte, poi, la professione del sanitario può implicare la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (si pensi ad un caso particolarmente complesso o non ancora studiato a sufficienza): in questo caso il medico gode, secondo il nostro ordinamento, di una limitazione di responsabilità, nel senso che risponderà di eventuali imperizie del suo agire solamente per dolo o colpa grave (art. 2236 cod.civ.), intendendosi per dolo la volontarietà dell’azione lesiva e, per colpa grave, gli errori non scusabili per la loro grossolanità, le ignoranze incompatibili con il grado di addestramento e di preparazione che una data professione richiede o che la reputazione di un professionista dà motivo di ritenere esistenti, la temerarietà sperimentale e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente affida alle cure di un prestatore d’opera. Ad ogni modo, comunque, sarà il sanitario a dover fornire la prova della speciale difficoltà dell’intervento al fine di godere della limitazione di responsabilità. In caso di intervento routinario, invece, egli risponderà anche per colpa lieve, peraltro presunta secondo le regole della responsabilità per l’inadempimento contrattuale; ma, in caso di contestazione, la prova sulla facilità dell’intervento, questa volta, spetterà al danneggiato. Da quanto detto deriva che in un giudizio teso all’accertamento della colpa professionale medica al fine di ottenere un risarcimento (da richiedere indifferentemente al singolo sanitario, ad una équipe di medici o alla struttura ospitante) l'onere della prova si suddivide tra gli interessati a seconda della natura dell’intervento effettuato, e precisamente:

  • nel caso di intervento di difficile esecuzione, il medico avrà l’onere di provare la natura complessa dell’operazione, mentre il paziente dovrà provare quali siano state le modalità di esecuzione ritenute inidonee, eventualmente integranti dolo e/o colpa grave;
  • nel caso di intervento di facile o routinaria esecuzione, invece, il paziente avrà il solo onere di provare la natura routinaria dell’intervento, mentre sarà il medico, se vorrà andare esente da responsabilità, a dover dimostrare che l’esito negativo non è ascrivibile alla propria negligenza, imprudenza od imperizia;
  • nel caso di chirurgia estetica potrà essere sufficiente dimostrare la difformità tra il risultato ottenuto e quello prospettato dal sanitario, o comunque ragionevolmente atteso, per ottenere il rimborso delle somme versate e l’eventuale risarcimento per il danno residuato.

Casistica - Infine, è utile sapere che data l'importanza dei "beni" (salute, vita, ecc..) sottoposti alle cure del medico, l’affidamento che normalmente lo stesso ingenera in coloro che vi si rivolgono, nonché la forte rilevanza sociale di tutti gli avvenimenti e notizie che in qualche modo coinvolgono sanitari, i giudici sono estremamente cauti ed esigenti nel valutare le misure adottate dai professionisti a tutela della salute dei pazienti, insistendo spesso su una serie di aspetti che possono divenire fattori indicativi di colpa professionale.

A titolo esemplificativo:

  • la circostanza che si tratti di un medico generico ovvero di uno specialista, con conseguente maggiore garanzia e aspettativa per il paziente che si rivolge a quest’ultimo;
  • la completezza dell'informativa ricevuta dal paziente in ordine ai benefici possibili, alle modalità d’intervento, alla possibilità di scelta fra diverse tecniche operatorie, ai rischi prevedibili in sede post-operatoria. Secondo la più recente giurisprudenza, il paziente deve essere messo concretamente in condizione di valutare ogni rischio e ogni alternativa; il consenso non è dunque un atto puramente formale e burocratico, ma è la condizione imprescindibile per trasformare un atto normalmente illecito (la violazione dell’integrità psicofisica) in un atto lecito. L’informativa è particolarmente necessaria in sede di chirurgia estetica, laddove, come detto, è richiesta la sussistenza di concrete possibilità per il paziente di conseguire un effettivo miglioramento dell'aspetto fisico che si ripercuota favorevolmente sulla vita professionale o di relazione;
  • la somministrazione di terapie comuni, ma potenzialmente idonee a determinare intossicazioni acute e reazioni allergiche in soggetti predisposti, senza aver fatto precedere l’assunzione da analisi di laboratorio e opportuni accertamenti;
  • l'esistenza di alternative mediche non effettuate, le quali avrebbero avuto una seppur generica probabilità di successo per il miglioramento della salute del paziente, indipendentemente da una determinazione matematica percentuale di questa probabilità;
  • nel caso di più medici, anche in differenti posizioni gerarchiche, il dovere di ciascuno di essi di attivarsi in presenza di dubbi diagnostici, al fine di effettuare nuovi accertamenti o acquisire nuovi elementi;
  • la scelta effettuata da un professionista tra un trattamento terapeutico e un metodo d’intervento, laddove il secondo possa comportare dei rischi per la salute del paziente;

L'assistenza effettuata in sede post-operatoria, anche dal punto di vista della durata, e gli interventi praticati per assicurare un rapido e favorevole decorso della infermità, prevedendo o eliminando tutte le possibili complicazioni.

 

A cura di Francesca Mariani – Unione Nazionale Consumatori

Ultimo aggiornamento Lunedì 15 Marzo 2010 18:18
 

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